sabato, dicembre 03, 2005

Catch bull at four (Cat Stevens)

Nei meravigliosi Anni ’70 esce un disco vivo ed originale che titola “Catch Bull At Four” , frutto del lavoro e della rinnovata riflessione di un artista geniale e generoso come Cat Stevens. Cat Stevens mi ha sempre attratto per il gusto della ricerca che ha saputo trasporre in musica e parole. Altre ricerche per altri grandi, ma mai nessuno come lui, nessuno con la capacità di rimettere in gioco la vita tutta, di seguire veramente l’arida via della propria spiritualità, ponendosi certi interrogativi nel tentativo incessante di migliorarsi come uomo prima che come artista. Animo irrequieto, Stevens, si stancò in fretta della fama da Pop Star e dei brani troppo disimpegnati che lo portarono alla ribalta, trasformandosi nel tempo in Autore capace di utilizzare con sapienza la propria arte per riflettere e raccontare il personale cammino spirituale, facendo della propria musica la ricerca incessante di una casa, di un luogo dell’Anima, di una adeguata spiritualità, tanto da determinare la morte e la scomparsa di un personaggio e di uno stile e la nota rinascita nelle vesti sacre di Yusuf Islam. Nel 1972 esce “Catch Bull At Four”, con questo disco Cat Stevens mette una pietra sopra la precedente produzione dando vita ad un percorso di ricerca spirituale in musica. Un disco che nei suoi tratti irrequieti e marcatamente multiculturali esprime il senso della profonda ricerca, la commistione tra stili, religioni, culture e stati d’animo. Le canzoni si fanno più difficili e tortuose, ma vive ed intense, rassomigliando sempre più al percorso di ogni Uomo verso la Verità. L’apparato sonoro in quest’opera è scarno, così per le cose semplici tra le quali l’animo può elevarsi libero dai legami terreni. La voce è espressione di vigoria e di fragore, strumento di un uomo ispirato e desideroso di guardare oltre con occhi nuovi. La scrittura è vivace e altera. Introspezione, riflessione e comunicazione si uniscono nel disco che diviene ad un tempo meditativo ed energetico, volto ad aprire molti interrogativi senza chiudere risposta alcuna, ma che pur nella sua transitorietà, nel suo essere tappa di un percorso ben più alto, esprime un fascino evidente ed un messaggio limpido. E’ proprio la prima, una canzone che parla in qualche misura di Conversione. In “Sitting” Stevens canta con grande forza la vita che cambia e apre a nuovi interrogativi.. un brano eversivo pregno delle atmosfere di quegli anni aperti e grigi, un brano sfrontato in cui ancora il “risveglio” viene attribuito al celeste intervento di generici astri.. “Oh I’m on my way I know I am, but times there were when I thought not, bleeding half my self in bad company, I thank the moon I had the strength to stop..” “The Boy With A Moon And Star On His Head” è una sorta di parabola, una rivisitazione a tinte orientali del presepe, che riflette sul concetto dell’Amore .. Siamo catapultati in un villaggio d’oriente nel quale la nascita di un bimbo con la luna e la stella sulla testa scuote le consuete abitudini.. I got down on my knees and kissed the moon and star on his head. As years went by the boy grew high and the village looked on in awe, They’d never seen anything like the boy with the moon and star before. And the people would ride from far and wide just to seek the world he spread. I’ll tell you everything I’ve learned, and Love is all.. he said” Ed eccoci davanti ad un’alba marina, una sirena “emerge dalle acque, viene verso di noi, lasciando diamanti sulla baia”, Steven con un uso gioiso delle chitarre e dei cori fa un ritratto ideale ed espressionista della femminilità, una dichiarazione d’amore libera, di grande respiro, anche grazie alla sua eminente poesia.. Her clothes are made of rainbows and twenty thousand tears, shine through the spaces of her golden ochre hair [..]She ripples on the waters, leaves diamonds on the shore and fish from every distance, watch her ocean cellar door, Her breathe a warm fire in every lover’s heart, a mistress to magicians and a dancer to the Gods” “Silent Sunlight” raccoglie l’avvento della riflessione spirituale di Stevens che unisce in una canzone concetti cari a diverse filosofie e religioni quali, dal lavoro come preghiera, alla speranza, fino al trascendimento delle cose terrene. “Don’t ever look behind at the work you’ve done, for your works has just begun, there’ll be the evening in the end, but till the time arrives, you can rest your eyes and begin again..” Can’t Keep It In”, questo prorompente inno alla vita esprime al meglio l’anima comunicativa ed energetica di questo lavoro, nel quale Stevens manifesta una speranza universale ed il necessario bisogno di esprimerla.. Oh I can’t keep it in, I’ve gotta let it out, I’ve got to show the world, world’s got to see, see all the love, love that’s in me, I said why walk alone, why worry when it’s warm over here. You’ve got so much to say, say what you mean, mean what you’re thinkin’ and think anything. Oh, why must you waste your life away? “18th Avenue”, è l’incubo suburbano che non ti aspettersti in un disco del genere. Stevens da prova d’eccellente vena compositiva, concentrando in 4 minuti atmosfere altere e raffinati cambi di ritmo, si parte in sordina.. Oh the path was dark and borderless down the road of the eighteenth avenue and I stung my tongue to repeat the words that I used to use only yesterday, meanings just dropped to the ground, I try to remember what I though and what I used to say. Don’t let me go down! No don’t let me go.. Oh my hands were tied as I struggle inside the empty waste of another day..” In “Freezing Steel”, compare il primo ed unico graffito elettrico di tutto il disco, rock intenso e strampalato dove non mancano riferimenti alla trascendenza e alla vacuità delle cose.. They tied my body up, I’m force to eat my meal, a cold plate of lamb and cold potatoes too, now what’s a soul to do, brother won’t you tell me is this a eucharistic dove?” "O’Caritas", speranza e distruzione, la prima per combattere la seconda, entrambe nelle mani dell’uomo ed una missione inalienabile per l’umanità. Cat sceglie di cantare in latino a favorire il tono d’apocalisse e l’eminenza, finisce, poi, col rendere chiaro a chiunque il messaggio tramite l’anglosassone idioma. E’ la prima di due perle apocalittiche.. I don’t want to lose the harmony of the universe I see all the things burning, I hear men shouting [..] I don’t want to lost it here in my time, give me time forever here in my time..” "Sweet Scarlet", canzone dell’amor perduto e dall’atmosfera Hippies, con dolci note e una voce flebile ma quanto mai espressiva.. Si prova gusto nel mordere un lampone in un mattino fresco d’estate.. Once she came into my room [..] Two eyes like lights, milky marble whites lookin’ up at me, looking for a way, moons in an endless day. All I knew was with her then, no couldn’t see the time, as we drank down the wine to the last Sweet scarlet. Every bottles is empty now and all those dreams are gone.. ah, but the song carries on… so holy..” "Ruins", il lavoro è concluso da un secondo brano di connotazione apocalittica ed ancora una volta la speranza e l’“Umanità” sono le uniche chiavi per riscattare la disperante strada verso cui ci siamo incamminati.. Stole away the land, people runnin’ scared, losing hands, dodging shadows of falling sand, buidings standings like empty shells and nobody… helping no one else […] People needing more and more it’s all getting lost, I went back, back to the time when the earth was green and there was no high walls and sea was clean ” In definitiva imbattersi d’improvviso in questo disco disorienta, confonde e in breve tempo affascina e ripaga della pazienza prestata. Come un mosaico romanico, “Catch Bull At Four” necessita della giusta distanza per essere osservato, dal principio vedremo tasselli incoerenti e di varia mineralità, stracci indiani e pareti arabesche, freddezze anglosassoni e tappeti di Persia, colonne doriche e vini francesi, quasi fossimo finiti in un disco del buon Vinicio. Ma lentamente prendendone più ampia visione, creandone un armonico quadro d’insieme, si presenta a noi un affresco d’apocalisse incompiuta ed evitabile avendo maggior cura e interesse nei riguardi della nostra spiritualità, del nostro essere Uomini, di gioire nella possibilità del redimersi. Contradditorio, istrionico e insufficiente, questo disco, oltre a donarci tre quarti d’ora di musica d’Autore, potrebbe aprire una porta e divenire utile spunto nella riflessione, probabilmente come utile fu per il suo stesso autore.

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