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martedì, settembre 12, 2006

Riflessioni di settembre..

Il mare in fondo all’estate è di gusto agrodolce, non è una replica. Guardare l’estate finire da questa cala, è cosa diversa, è un dolce desiderio che brucia l’anima; tra gli umori tropicali e le onde del sogno, tra la tensione della vivida e fredda stagione che incombe e la pacata clemenza delle immagini che sono negli occhi, si crea e sospira un lieve contrasto interiore. Starsene così, abbandonati sulla sabbia bianca, cullati dal corposo e morbido mareggiare, all'udire e nello spirito, sempre più forte, più ipnotico. Annegare nel profumo della macchia selvatica, che insaporisce e spezia l’aria ambra della sera, seguire il flutto di una vela perduta nell’azzurro, con le membra distese, nel tramonto e poi oltre; sino a ridestarsi subito in leggera tensione, al pensiero della bella e calda stagione che svilisce, lasciando spazio all’inverno, alle ombre e ai dissapori. Mentre il sole intiepidisce lento nell’umida marea serale e porta con se il brulicare insistente delle cicale, appoggiato alla veranda, con le braccia nude piegate sul grinzoso e profumato davanzale, guardo la foresta lentamente abbandonarsi alle ombre, riempirsi di antri bui, dei riflessi metallici profusi dalla luna e resi cangianti dall’acqua; umidità che ravviva nell’aria la fragranza delle cortecce marine. I miei pensieri vacillano, nascono e si posano quasi d’incanto, cascano come pinoli, tra gli aghi e la terra dell’ampio campeggio; pensieri svogliati, ombrosi, in penombra essi stessi. Lasciar vivere il tempo che scorre, o trattenerlo volutamente? Abbandonarsi ignari della propria meta o ridestarsi dai propri lidi estivi? I soliti acri interrogativi affollano e affondano la mia mente. Tuttavia, davanti ad una nuova alba e alla benevolente acqua marina, naufragare non è poi così male e si rimane volentieri, ancora per una mezzora, incantati a contemplare un orizzonte che non ha vita, se non di movimenti lievi e prosaici, a interrogare una linea di sabbia che non ha risposte, se non quelle che noi stessi vorremo ascoltare, inebriati ad annusare il profumo della sera, che vorremmo fosse il profumo delle nostre vite, ad ascoltare il mare, illudendosi vi sia là, sul fondale, un canto di sirena.

giovedì, aprile 20, 2006

Mazzin

Quelle sere, si usciva dall’albergo nel silenzio delle valle, solo alte vette sopra di noi ad orlare il cielo. Non so descrivere la magia e l’intimità di quei luoghi montani e di quei momenti, solo il profumo delle alpi è mio ricordo, il rumore del fiume scorrere, non altro. Come ai primi movimenti di un sentimento, le parole lassù acquisivano un’eco, rimbombavano, dilatavano la loro portata, il loro significato, andavano oltre; parole elegiache e sole, belle solamente a pronunciarle.
Trascorrevamo spesso il buio su panche di legno, al limitare delle pinete, ora tirando sassi in un lavatoio, ora ripercorrendo la strada quotidiana. I chilometri rotolavano veloci sotto i nostri cerchi, tanto nei mattini freschi, quanto nei pomeriggi assolati; talvolta ci sorprendevano grandi nubi gonfie d’acqua e malinconia, e le risalite si facevano più faticose e le planate più infìde. Rovistando tra i ricordi c’era anche una chitarra, sino in cima ai boschi la ricordo accompagnare falò improvvisati. E mentre bruciavano vecchie scope rubate qua e la’, bruciavano con loro i nostri pensieri, le nostre amarezze, l'anima della montagna rimaneva nuda nel suo splendente e notturno fascino. Altere giornate passate a trastullarci con gli accordi di Neil Young, a rendere estati come inverni. La musica di Neil Young può far perdere la sicura strada del ritorno, può far perdere le tracce di noi, farci ammalare di una malattia dolce quanto insidiosa. Le notturne ballate non covavano solo riflessioni bucoliche, ma ombre lunghe nella notte e la brace amara del mattino.
Per le strade di quel paesino spesso potevo vedere la sagoma fuggevole di Neil Young vegliare su di noi, calare con la sera su balconi di legni e semplici pietre, a volte riparato dietro la fermata della corriera, a volte seduto su di una staccionata, altre coricato ad ascoltare una fontana.

martedì, gennaio 24, 2006

Notte di novembre

Acqua e Luna in questa notte, ho fatto i primi passi lungo il fiume, tra le vigne e i campi brulli, sino al bosco. La stagione umida s’è aperta a noi, porta profumi, sfuma i contorni, riempie la volta azzurra di note d’autunno.
Luce e trasparenze in questa notte, Che stagione è mai questa, lungo il nostro sentiero, se nemmeno l’avorio della luna e il crepitio dell’ultima brace ci son di conforto? Se a consolarci son ancora il sonno e l’oblio, e la speranza in un abbraccio di vita temuto.
Abbaglio e naufragio è questa notte, età in cui non v’è più terra né tempo, in cui una goccia di speranza è lasciata ad ogni passo, e siamo un poco meno vivi, in cui una goccia di ricordo è versata ad ogni passo, e siamo un poco meno afflitti.
Acqua e luna in questa notte, tempo segnato dal profondo canto del pavone, chete son le acque del lago, volteggiano scure le ombre, e noi, sotto un cielo notturno, annusiamo l’aria, aspettando una stella cadente.