martedì, febbraio 14, 2006

Quello che ho (De Marinis)

Non siamo nati ascoltando Bach, Jimi Hendrix e Paolo Conte, c’è un “prima”, più o meno imbarazzante per ognuno di noi. C’è un’infanzia, che ha una musica di cui oggi non sapremmo parlare e una adolescenza durante la quale si fanno sbagli cretini ascoltando generalmente cose che il gusto successivo ritiene almeno disgustose. Nella selva oscura di suoni che ha costellato la mia personale vicenda giovanile, vorrei riscoprire un disco intimista, teso tra l’introspezione e la favola, tutto sommato salvabile, portandone alla luce i lati pregevoli e riscoprendo uno dei predecessori del fresco vincitore del festival di San Remo, Povia. Sto parlando di “Quello che ho”, un disco, onesto sin dal titolo, composto e in gran parte suonato da Davide De Marinis. I più, probabilmente non si ricorderanno nemmeno dell’esistenza artistica – neanche troppo lontana - di questo autore che, nel 2000, arrivò alle piazze d’onore nella categoria giovani con la canzone “Quello che vuoi” per poi essere reinghiottito dalla grigia e tumultuosa periferia milanese. “Quello che ho” ad un primo ascolto potrebbe risultare un po’ adolescenziale, persino commerciale:ci sono 4-5 pezzi molto radiofonici, le melodie sono terribilmente orecchiabili, le parole giocose e le sonorità da vignetta. Tuttavia la distanza del nostro, da Povia e similari, emerge solo con pazienza. Il risultato del disco è più che in altri casi soggettivo e legato alla capacità di smettere i panni di distaccati osservatori ed entrare nel copioso ed intenso sentimentalismo di De Marinis. Se abbiamo pazienza, una presunta capacità empatica ed un animo un poco fanciullo, l’album nel tempo rivela una natura più complessa dell’apparente. Le parole di Demarinis non possono essere ritenute banali, poiché frutto di una sincera introspezione, parole di grande umanità che il Nostro canta con ironia e leggerezza, con andamento disincantato, quasi a dire “che colpa ne ho se un uomo prova sentimenti?” Certo, oggi sincerità ed innocenza non sono proprio valori riconosciuti, danno un po’ fastidio, ma la apparente banalità in questo disco va letta come purezza e sincerità. De Marinis fa una accorta e zuccherosa analisi degli stati d’animo che attanagliano la quotidianità nei suoi aspetti minimali, descrive in modo leggero senza mancare di intensità, gioca disinvolto con le parole che paiono fluire improvvise e spontanee, donando qualità al lavoro complessivo. Il disco esprime costantemente una condizione “periferica e claustrofobica”, pesa in molti brani l’assenza di uno spazio esterno dove respirare liberi, mancanza che viene edulcorata tramite il sogno ed il vagheggiamento. Le canzoni sembrano nate e suonate in una stanza, riflessioni di appartamento concepite fissando la tappezzeria e anelando idilliaci paesaggi e sensazioni, a dare nuova luce alla condizione urbana. Il disco si apre con il pezzo presentato a Sanremo, “Quello che vuoi”, scanzonata storia d’amore d’ambientazione casalinga, trascinata da una melodia ruffiana e veloce. Si prosegue con “Gino” e “Troppo bella”, due pezzi al limite del non-sense, il secondo dei quali fu singolo vivace e spensierato che animò l’estate precedente l’uscita del disco, a tal punto da annoiare ancora oggi. In “Troppo bella” è contenuta una delle frasi del disco: “la vita non ha molto senso se non c’è un appuntamento”. Secca, banale, veritiera e disarmante, in ogni caso occorreva qualcuno a ribadirla. Successivamente, vi sono quattro canzoni in fila leggere ed intense, tra cui i due singoli “Cambiare aria” e “I sentimenti nascono” migliori manifesti dell’intero disco. Si parla in quattro momenti e in due modi di rapporti personali…. tanto semplici nel nascere, tanto difficili da proseguire.. “i sentimenti nascono e cadono per terra, è inutile nascondersi, perché i tuoi occhi parlano..” Si passa a “Ciò che cerco” dove troviamo forse uno degli spunti più innovativi del disco, in cui lo stile di De Marinis incontra sonorità Jazzy e notturne. La spensierata leggerezza che ci ha condotti sino alla metà del cammino ci abbandona per due brani cupi ed intensi. “Come il sale” pur mantenendo lo scenario sentimentale è canzone amara, scava in fondo all’anima, si perde nel mare grigio dell’inverno. Di seguito “Quello che ho”, fa da dura requisitoria contro una compagna pretenziosa ed arrogante ed anche in questo caso De Marinis dimostra piglio originale nel farsi cantore di una tematica comune a molte relazioni sentimentali. Ritorna il sereno, ritorna la dolcezza e nella semplicità troviamo come pane appena sfornato la fragranza ed il profumo migliori dell’album, “Non mi basti mai”. Già dal titolo vedo nasi storcersi, ma De Marinis ancora una volta stupirà facendo di un terreno difficile e scivoloso come la dichiarazione d’amore, una canzone senza retorica ne pesantezza. La fresca spontaneità del Nostro non teme offuscamenti nemmeno dinanzi al più lamentoso dei temi. Infine il disco si chiude con un momento di reale commozione – quasi patetico, nell’accezione migliore del termine – “Ho chiuso gli occhi” è canzone cantautorale che per intensità e poesia non teme confronti, chiudendo lascia un buon ricordo e un po’ d’amaro, come il limone dopo un dolce cocktail tropicale. In sintesi, un disco per animi sensibili, ottimo e originale all’ascolto attento e partecipato o dolcissima orlatura ad una serata romantica. Un disco onesto, fresco, che mantiene dignità in ogni suo pezzo senza gravi cadute di stile, una chiave innovativa e più vivace per leggere la canzone italiana tramite la spontaneità e l’incanto. Consiglio l’opera a coloro che hanno attitudine all’ascolto dell’altro, troveranno molti utili spunti di riflessione e molti sorrisi. Un ultima e dovuta precisazione riguardo al voto. Il voto “3” espresso in questa sede è inteso in senso relativo e non assoluto. Cioè non si è voluto confrontare De Marinis con tutto lo scibile sonoro, ma comparando il disco ad altre opere di stesso genere (molto meglio di Povia, D’Alessio & Co).

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